Negroamaro, lo spirito del Salento

di Guido Montaldo


Figlio indiscusso della sua terra d’origine, il Salento, il Negroamaro è balzato agli onori delle cronache e può essere considerato tra i vini del rinascimento pugliese.

La sua coltivazione risale almeno all’epoca della colonizzazione greca (VII sec. a.C.), l’etimologia del suo nome rimane invece controversa.

La più accreditata è che derivi dal greco “mauros” che significa nero e dal latino “niger”.

Pertanto entrambi i termini stanno ad indicare, in due lingue diverse, un vitigno a frutto nero e non il sapore amaro.

In realtà la sua ricchezza di tannini, polifenoli e del “buon resveratrolo” (la sostanza preziosa alla salute) si coglie nei sentori amari durante la degustazione, che diventa un carattere distintivo.

Negroamaro oggi incarna e interpreta il Salento, perché è nato in questa magica terra e si coltiva esclusivamente in questi vigneti. Nonostante le difficoltà della sua coltivazione, a causa della  sua precocità e per una buccia molto sottile che deve essere trattata con i guanti, è stato da sempre la ricchezza dei vignaioli del Salento. In un passato non tanto remoto, quando le produzioni pugliesi erano orientate alla produzione di vini da taglio, il Negroamaro era molto ricercato per dare colore ai vini del Nord o a quelli francesi.

“L’uva di Negroamaro era il pane quotidiano dei vignaioli del Salento”. Racconta Alessandro Candido dell’azienda Candido. “Ogni lunedi mattina, in piazza Oronzo a Lecce, si trattava il pezzo dell’uva, che veniva trasportata con vagoni ferroviari lungo la ferrata Galliano-Canosa per prendere poi le rotte della Francia e del Nord Italia. Il 9 settembre 1957 gli imbottigliatori del Nord non comprarono uva. Scoppiarono tafferugli. Ci scapparono tre morti”.

Quando il mercato cominciò ad indirizzarsi verso i vini imbottigliati numerosi contadini rinunciaron’ ai loro vigneti per ottenere i contributi per l’espianto. La superficie a vigneto del Salento si ridusse di oltre la metà. Un danno al territorio incalcolabile, perché nessun tipo di cultura agricola ha sostituito il vigneto. La rinascita dei vini del Salento ha trainato l’intera filiera del vino pugliese, grazie a uomini come Francesco Candido, Cosimo Taurino, Gino Vallone, Leone De Castris, ma anche a nuove cantine e imprese imprenditoriali, come Tormaresca, Cantine San Marzano, Michele Calò, ecc.

Ogni tenace vignaiolo del Salento ha apportato qualcosa di buono: coraggio, passione, determinatezza imprenditoriale. Tra i protagonisti della rinascita dei vini del Salento, un ruolo specifico è stato vissuto da Leone de Castris di Salice Salentino, produttore del primo celebre rosato d’Italia da Negroamaro. Il Five Roses è stato il primo vino rosato italiano ad essere imbottigliato e commercializzato in Italia nel 1943.

Il Negroamaro è diventato il biglietto da visita del territorio, delle sue accattivanti caratteristiche sia naturali che enogastronomiche. In purezza o con Malvasia nera, Primitivo, Montepulciano o piccole percentuali di Cabernet Sauvignon, può diventare un profumato, sapido e intrigante rosato. O un grandioso rosso, che esprime eleganza e morbidezza. Un vino asciutto e austero, vellutato riconoscibile per i sentori evoluti di concia di tabacco, adorabilmente fruttato, geniale a tutto pasto.

Un compagno fedele per le specialità salentine come la pasta fatta in casa, le celebri  “sagne ‘nacannulate” con polpette al sugo o con il sugo degli involtini di vitello. Oppure con la carne di agnello o gli gnomirelli, involtini di frattaglie legati con budello. Un piatto della tradizione dove non si buttava via niente.

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