Passiti ed Erborinati, le nuove frontiere del gusto?

di Guido Montaldo


Sembra essere tornata la moda dei vini dolci e passiti. Nonostante la destinazione di questa tipologia di vini sia soprattutto a fine pasto, gli operatori del settore trovano che questi vini abbiano qualità insostituibili, per esempio a confronto con i superalcolici. Tra queste, la facilità del consumatore di scegliere un prodotto che tutti capiscono e che evita imbarazzi.

Una grande spinta l’hanno data i nuovi abbinamenti (formaggi e marmellate), ma è importante anche il desiderio di  ogni cantina di creare delle piccole chicche enologiche con un packaging invitante, che spesso rendono il passito un’alternativa al liquore generico nella regalistica.

Quella dei vini passiti è una storia arcaica. La tecnica è semplicissima e antichissima, diffusa soprattutto nei Paesi del Mediterraneo: le uve vengono distese al sole su canne e graticci (oggi in plateu e cassette) fino all’appassimento totale, quindi vinificate. Nel caso delle vendemmie tardive,  più comuni al Nord, l’appassimento è sulla pianta e le uve vengono botritizzate, cioè colpite da muffa nobile (Botrytis cynerea), sovramature e disidratate dall’attività respiratoria del fungo. In alcuni casi e stiamo parlando degli eiswein,o ice wine (vini di ghiaccio), i vini sono ottenuti da uve sovramature congelate naturalmente nelle notti invernali di zone molto fredde.

I vini dolci però non sono tutti uguali: passiti, vendemmie tardive e vini liquorosi hanno una storia diversa. Oggi a livello legislativo si sta facendo chiarezza, distinguendo i vini ottenuti esclusivamente con l’appassimento delle uve, da quelli con aggiunta di alcol.

In campo giuridico c’è infatti una grande confusione, la tipologia, non è mai stata adeguatamente descritta nell’ambito della legislazione vitivinicola nazionale (legge 164/92) e di quella europea, al contrario della tipologia “vini liquorosi”, ciò crea una notevole confusione sia nel settore che nel mercato.
Generalmente infatti si intendono per “vini passiti”  solo i vini dolci anche se non mancano esempi di vini secchi prestigiosi come lo Sforzato in Valtellina e l’Amarone della Valpolicella, entrambi ottenuti con l’appassimento delle uve.

In Valpolicella è rimasta oggi la tradizione di produrre con uve passite sia il Recioto, vino dolce la cui tradizione risale ai tempi di  Cassiodoro (V sc.), ministro del re goto Teodorico

La rassegna dei vini dolci passiti invece occuperebbe un libro. Le tradizioni regionali, dalla Valle d’Aosta (Moscato di Chambave) al Veneto (Torcolato di Breganze, Recioto di Soave), dal Trentino (Vin Santo) alla Toscana (Aleatico e Vin Santo) e all’Umbria (Sagrantino passito), fino alle isole Passiti di Pantelleria (Sicilia) e Malvasia di Bosa (Sardegna), offrono vini passiti che accompagnano i dolci tradizionali delle feste.

Sono vini di nicchia, dai forti connotati storico-culturali, fortemente legati alle tradizioni e al territorio di origine e questo alla gente piace.

Piacciono soprattutto il nuovo modo di presentare i vini dolci, questo grazie

alla tipologia dei vini diversi e alla produzione di eccellenti prodotti tipici alimentari. Come l’ intrigante abbinamento tra l’affascinante Ramandolo,  prima e unica Docg friulana, prodotto nei Colli Orientali del Friuli con il foie gras d’oca. Friuli terra anche di Picolit, il principe dei vini dolci italiani. Sono vini prodotti soprattutto con uve autoctone, anche minori come il caso dello Sciacchetrà ligure prodotto con uve poco conosciute (Bosco e Albarola) insieme al Vermentino.

I vini passiti consentono uno straordinario range di abbinamenti, sia regionali che internazionali. Si va dai passiti e muffati dell’Umbria, abbinati alla pasticceria umbra tradizionale e devozionale delle festività; all’ampio panorama dei Vin santi italiani (Trentino, Toscana e Umbria) abbinabili, secondo le caratteristiche di ogni singolo prodotto al cioccolato e formaggi erborinati. Non dobbiamo dimenticare i moscati, prodotti dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, ma anche altre chicche come il Verdicchio passito delle Marche, vini di nicchia, quasi introvabili come il Bianco di greco passito della Calabria o il moscato di Terracina.
Un’altra novità è l’utilizzo di questi prodotti come vini da conversazione.

Lo facevano già gli inglesi nel XVIII sec. nei salotti dove lo Sherry e il Porto scorrevano al posto del the. E’ chiaro che vanno bene anche i pasticcini, ma con alcuni vini con un buon contenuto di acidità, come il Verdicchio o le uve autoctone di Ischia (Biancolella, Forastera, Uva rilla e San Lunario) si può pensare di degustarli mentre si chiacchiera amabilmente.

Ma è la Sicilia che fa la parte del leone nella produzione di vini dolci e passiti.

Anche il Marsala, nobile vino anglo/siculo, che ha avuto problemi di identità, sta rialzando la testa. Accanto ai passiti e moscati di Pantelleria, l’Isola possiede un patrimonio ricchissimo sicuramente di origine ellenica, come il Moscato di Siracusa la cui coltivazione è stata ripresa negli anni ’60 dall’azienda di Antonino Pupillo e la Malvasia di Lipari, recuperata  dall’azienda Hauner. Interessante la sperimentazione che si sta effettuando tra autoctoni come le uve di Catarratto e internazionali, come il Sauvignon. Questa è possibile solo in alcune zone per via della altitudine dei vigneti (700 m.s.l.m) dove è possibile l’attacco della muffa nobile (Botrytys cinerea).

Sono vini succulenti ottimi con dolci di pasta di mandorle, ma anche fegato d’oca, carni tartufate, formaggi piccanti ed erborinati, il gorgonzola, difficilissimo da abbinare,  alcuni passiti possono reggere anche il cioccolato.

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