Moscato e Asti Spumante: la dolcezza delle colline del basso Piemonte

Moscato d'Asti

di Davide Spataro


Nel Basso Piemonte, tra le provincie di Asti, Cuneo e Alessandria, si estende un’affascinate territorio che, in due prodotti simbolo del Made in Italy enologico, Il Moscato d’Asti e l’Asti Spumante, esprime perfettamente la dolcezza delle colline e la briosità della gente.

Non si può però iniziare a raccontare di questi due vini senza citare Carlo Gancia, simbolo ed esempio di questa regione che, dopo la sua esperienza in Champagne, nel 1865 realizzò a Canelli il primo spumante italiano, inizialmente con metodo classico (con rifermentazione in bottiglia) e successivamente con il più “stabile “metodo Martinotti (con rifermentazione in autoclave).

Il vitigno di base per entrambi è il moscato bianco. Il nome deriva dal latino “muscum” (muschio) di cui richiama il tipico aroma.

Viene coltivato in Italia anche in altre regioni ed ha origine molto antiche: già i Greci e i Romani ne facevano largo uso per accompagnare i loro banchetti in una versione dolce e resinata

Ma è il Piemonte che, nella splendida cornice dei comuni di Canelli, Calosso, Santo Stefano Belbo e Strevi ha visto evolvere l’anima e il cuore di questa vite, scrivendo una storia di dedizione e grandi successi.

Asti Docg è uno spumante dolce prodotto con metodo Martinotti (quindi la rifermentazione si ottiene in autoclave). Il vino che si ottiene è un piacevole e riconoscibile mix di note fruttate a pasta gialla, fiori di arancio e muschio. La sua dolcezza non stucchevole, il suo basso grado alcolico (circa 7°) e i suoi piacevoli aromi hanno accompagnato i brindisi di milioni di italiani durante le festività e ricorrenze, creando uno stile e un marchio popolare molto amato. Fu addirittura creato anche un bicchiere ad hoc per degustarlo: la Coppa Asti (oggi poco utilizzata e sostituita dalla più classica flûte).

Il Moscato d’Asti (riconoscibile già esternamente nella bottiglia, in quanto non presenta il tappo a fungo con la gabbietta ma il “semplice“ tappo raso) è invece un vino bianco non spumantizzato, anche se mantiene nella sua consistenza una certa vivacità. Si presenta di un giallo paglierino liberando tipici aromi di pesca, albicocca, agrumi, salvia e l’inconfondibile muschio. Il risultato è un vino dolce di grande piacevolezza e bassa alcolicità che si accompagna non solo a fine pasto sui dolci o frutta ma anche a piatti di cucina etnica speziati.

Tra gli anni 80 e 90 l’Asti spumante ha raggiunto produzioni molto abbondanti (oltre 100 milioni di bottiglie all’anno!) che probabilmente non hanno giovato alla qualità media del prodotto.

Resta tuttavia ancora oggi il vero motore dell’industria vinicola piemontese e, come la storia del Prosecco o della Franciacorta insegnano, la continua ricerca d’innovazione e qualità (a discapito della quantità) su un vitigno particolarmente delicato potranno scrivere ancora decenni di storia di successo. Non a caso da qualche anno alcuni produttori stanno provando a vinificare questo spumante con il Metodo Classico con buoni risultati.

Per il Moscato d’Asti il discorso è diverso: in questa zona esistono più di 100 produttori per lo più a regime familiare e questo spiega come questo vino sia un’importante risorsa economica per i paesi di questa regione e che quindi la sua qualità e prestigio vada preservato e fatto conoscere sempre di più. Oggi le enoteche e in generale la ristorazione propongono questo vino nei propri assortimenti con grande versatilità anche sugli abbinamenti.

Va ricordato inoltre che questi due speciali vini, in particolare Asti Spumante, hanno un posto di rilievo anche oltralpe e nel mondo – infatti vanno a colmare la lacuna delle bollicine dolci che il seppur incredibile panorama degli Champagne copre solo in parte: “Santé!”