Introduzione

Tappi per il Vino

Mondo Vino

Una bottiglia di vino, è come un libro di storia.

Una storia antica e affascinante, ricca ed eterogenea, perché il vino può essere ritenuto  “una delle più importanti e prolifiche scoperte della razza umana”.

Ogni cultura ha la sua storia da raccontare sui propri rapporti con il vino e la vite.

Insieme, essi narrano la storia meravigliosa di una pianta davvero eccezionale e del suo prodotto, che in tutto il mondo si è intrecciato in modo indissolubile con la cultura umana.

La storia della civiltà coincide, sotto molti aspetti, con la storia del vino

Dove nasce il vino?

La vite selvatica eurasiatica (vitis vinifera sylvestris) occupa un’area che si estende per circa 6.000 km/q da est a ovest, dall’Asia centrale alla Spagna e circa 1300 km. da nord a sud, dalla Crimea all’Africa nord-occidentale. Da qualche parte in questa vasta regione la vite selvatica europea fu portata a coltivazione e infine domesticata, forse più di una volta e in più di un posto. La duttilità della pianta e l’estro dell’uomo farebbero pensare a domesticazioni multiple.

Il primo vino

L’età del Neolitico, dal 8500 al 4000 a.C., circa, è il primo periodo della storia umana, in cui si verificarono insieme le condizioni necessarie per l’epocale innovazione della vitivinicoltura e  in cui iniziò la vinificazione su larga scala. Fu il botanico russo Nikolai Vavilov che affermò che la più antica cultura del vino del mondo emerse nella Transcaucasia, che comprende l’odierna Georgia, l’Armenia e l’Azerbaigian, regioni dell’ex Unione Sovietica in cui la cultura del vino è secolare.  Il primo vino fu prodotto nelle aree settentrionali montuose del vicino Oriente. Da quei luoghi il vino si diffuse verso regioni adiacenti, come l’Egitto e la Bassa Mesopotamia (3500/3000 a.C.) e un po’ più tardi (2200 a.C.) veniva gustato a Creta.

Egiziani i primi sommelier

Tra i primi valenti vignaioli e anche produttori ed estimatori di birra dell’antichità, vi furono gli Egiziani. I geroglifici egiziani che significano “uva, vigna, vino” sono tra le prove più significative che la viticoltura egiziana fu altamente sofisticata. Sigilli cilindrici con geroglifici incisi venivano fatti rotolare e premuti su pesanti tappi di argilla, che sigillavano orci allungati e privi di manici di forma e capacità unificate, in formati dai 10 ai 20 l.. La chiusura era ottenuta inserendo un tappo rotondo di ceramica all’imboccatura dell’orcio e premendovi sopra un grande cumulo conico di argilla. Questi orci vennero depositati a migliaia nelle tombe dei primi faraoni d’Egitto a Saqqara (Menfi) e Abido.

L’Italia del vino

La viticoltura viaggiò attraverso il Mediterraneo sulle onde della spiritualità o dell’ebbrezza (Dioniso, Bacco, Fufluns, dio etrusco). Coloni greci e mercanti fenici, diventarono messaggeri dei vini e dei vitigni più importanti nell’antichità. Il biblino fenicio, la malvasia e i moscati raggiunsero le isole della Sicilia e della Sardegna. Sulle coste della Calabria (allora Magna Grecia) vennero impiantati i vigneti dei vini antichi più famosi, come il Gaglioppo, il Greco e l’Aglianico che presto furono diffusi nelle regioni del Tirreno.

L’antica Italia venne chiamata Enotria Tellus!

I Romani copiarono tecniche di viticoltura e vinificazione dai Greci, dai Cartaginesi e dagli Etruschi e grazie alla loro maestria crearono i più grandi vini della storia come Cecubo, il Falerno, l’Opimiano che nel Satirycon di Petronio, si dice fosse buono dopo cent’anni.

Il ruolo degli Etruschi, che praticavano una viticoltura avanzata, fu determinante nel Nord Italia, dove si coltivava l’arbustum gallicum (la vite maritata ad una pianta viva).

Qui si coltivavano le viti lambrusche, selvatiche, progenitrici degli odierni Lambruschi.

Più al nord nel territorio dei Celti e dei Reti, si ottenevano vini come il Nebbiolo e il Pignolo. I Celti ebbero un’importanza fondamentale nell’enologia antica, a loro dobbiamo l’arte e diffusione della botte. Di “botti di legno più grandi delle case” parlò Strabone riguardo all’abbondanza della produzione vinicola padana, così come di vino conservato in recipienti di legno cerchiati ne scrisse Plinio nelle “Naturalis Historia”.

Con la caduta dell’Impero romano la viticoltura subì rovina e distruzioni e solo per merito dei monaci, fu possibile tramandare le tecniche vitivinicole per la produzione del vino, elemento indispensabile al sacramento dell’eucarestia.

In seguito Vescovi e Papi, grandi gaudenti e intenditori (Paolo III Farnese si serviva di un bottigliere, Sante Lancerio, per ricercare i vini per la sua cantina), incentivarono e migliorarono le coltivazioni creando rigogliosi vigneti che furono piantati intorno alle abbazie e ai monasteri.

I Benedettini fondarono l’abbazia di Cluny sulle colline vicino a Macon, nel cuore della Borgogna e poi i Circestensi, che partendo dall’abazia di Citeaux raggiunsero, sotto la nuova regola di S. Bernardo, la Champagne, diedero fama e lustro alla viticoltura francese ed europea.

Per lungo tempo invece il vino italiano non fece parlare di sé. Le tecniche viticole ed enologiche subirono una regressione, gli investimenti in campagna e in cantina erano ancora un sogno. Eccetto rare zone come la Valtellina, le Langhe, la Valpolicella, il Chianti, ecc., fu solo dopo l’unificazione del Regno d’Italia e l’introduzione delle conoscenze di Pasteur e altri enologi francesi, che si pensò ad una viticoltura intensiva per produrre qualità e i grandi vini che oggi sono apprezzati in tutto il mondo

Denominazioni

L’11 maggio 2010 è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 61 che adegua la normativa italiana alle norme europee (Legge Comunitaria 2008) in materia di tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini.

Con riferimento al primo aspetto (classificazione dei vini), il Reg. Ce 479/2008 stabilisce che a partire dalla campagna vitivinicola 2009/2010, e per le successive campagne, i vini comunitari dovranno essere classificati nelle seguenti tipologie:

1. vini a denominazione di origine: ovvero i vini che vantano uno specifico legame con

il territorio geografico e che dovranno essere identificati come DOP (ex DOC e DOCG) e IGP (ex IGT);

2. vini senza denominazione di origine: ovvero i vini che non vantano uno specifico

legame al territorio e che sono sostanzialmente rappresentati dagli ex vini da tavola.

I vini DOP e IGP confluiranno nell’elenco dei prodotti comunitari che già hanno ottenuto questa tipologia di riconoscimento ai sensi del Reg. Ce 510/2006; le procedure di riconoscimento e/o modifica del disciplinare di produzione, inoltre, saranno gestite a livello comunitario dalla Commissione Agricoltura e non più dalla Commissione vini del Mipaaf.

D.O.C.G. – Denominazione di origine controllata e garantita

DOCG è una certificazione sinonimo di estremo pregio che viene attribuita ai vini di alta qualità, sia dal punto di vista nazionale che internazionale. Questi vini vengono sottoposti a controlli molto severi. La loro commercializzazione avviene in recipienti di capacità inferiore a cinque litri e deve portare un contrassegno dello Stato. Questo è sintomo di garanzia dell’origine e della qualità. Consente una numerazione delle bottiglie prodotte e la sicurezza di non manomissione delle stesse. 

D.O.C. – Vini a Denominazione di Origine Controllata

Sono regolamentati da un disciplinare e sono contraddistinti da una zona di origine ben precisa, anche con indicazione di sottozona, fino a restringere l’area a un comune, una frazione, una fattoria, un podere o una vigna. Più diventa circoscritta l’area di origine e più aumentano le indicazioni, più si restringe il numero dei produttori e la quantità di vino che può essere prodotta; tutto ciò è sinonimo di crescente qualità del vino che viene prodotto.

Dal 2010 la classificazione DOC è stata ricompresa nella categoria comunitaria DOP, insieme alla dicitura DOCG, la Denominazione di Origine Controllata e Garantita.

I.G.T. – Indicazione geografica tipica

Il riconoscimento di qualità IGT viene attribuito ai vini da tavola caratterizzati dal fatto che sono prodotti in aree molto vaste dal punto di vista geografico.
La sigla IGT, quindi, sta per Indicazione geografica tipica. Il consumatore, con detta formula, è in grado di conoscere la zona di produzione della bevanda. Tale qualifica, comunque, non obbliga i viticoltori a dover porre altre informazioni sull’etichetta stessa circa il vitigno di provenienza. La dimensione geografica, in questi casi, è molto più vasta rispetto a quella definita nel DOC. Nella scala dei valori enologici, insomma, gli IGT si collocano immediatamente su un livello inferiore ai DOC e DOCG, ma prima dei vini da tavola.

I.G.P. – Indicazione geografica protetta

La sigla IGP è accompagnata dal nome della Regione di appartenenza del vitigno o di un determinato luogo. Indica un marchio di origine e in quanto tale, il prodotto deve seguire le opportune regole di produzione stabilite. La classificazione IGP non è soltanto dedicata ai vini, ma si estende anche ad altri prodotti alimentari.

D.O.P. – Denominazione di origine protetta

Oltre al marchio IGP nei prodotti alimentari è presente anche il DOP. Questo è un riconoscimento che viene assegnato ai prodotti agricoli ed alimentari che seguono fasi del processo produttivo che vengano realizzate in un’area geografica delimitata. Lo stesso processo produttivo deve sottostare ad un disciplinare ben definito.

Spumanti

Lo spumante è un vino che deriva da una seconda fermentazione. Le norme CEE lo definiscono come: “il prodotto ottenuto dalla prima o seconda fermentazione alcoolica delle uve fresche, del mosto d’ uve, del vino atti a diventare vino da tavola, del vino da tavola, di un V.Q.P.R.D., caratterizzato alla stappatura del recipiente da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fermentazione e che, conservato alla temperatura di 20 gradi C° in recipienti chiusi, presenta una sovrappressione non inferiore a tre atmosfere”. I sistemi più importanti per produrre spumanti naturali sono il metodo classico o champenois (rifermentazione in bottiglia) e il metodo charmat (rifermentazione in autoclave).

L’ arte di produrre Champagne fu una prerogativa esclusiva dell’enologia francese per almeno 200 anni; sul finire dell’800 anche in Italia si cominciarono a produrre spumanti metodo champenois. L’aumentare dei costi della manodopera specializzata e lo sviluppo tecnologico del’enologia hanno condotto a soluzioni capaci di creare una seconda fermentazione anziché nelle bottiglie, in un solo recipiente.

Furono l’italiano Martinotti nel 1895, (in seguito fu direttore della stazione Enologica di Asti) i francesi Koenig e Billiè, con la collaborazione della casa Chassepied, a costruire le prime autoclavi in ferro smaltato che permisero la prima applicazione industriale al sistema di rifermentazione per la creazione di vini spumanti. Chi però ebbe il merito principale di renderlo pratico fu il francese E. Charmat. Le prime autoclavi avevano la capacità dai 20 ai 40 hl., relativamente piccole se consideriamo che oggi alcuni tipi hanno la capacità di 500-1000 hl.. La fase preliminare del processo di rifermentazione in grandi autoclavi è la pastorizzazione del vino per eliminare le forme biologiche presenti e preparare un ambiente sterile adatto allo sviluppo dei lieviti. Il metodo charmat è oggi applicato, con le sue varianti, per il 90% in Italia ed è proprio in Italia che circa 40 anni fa ha trasformato l’intera produzione dell’Asti e del Prosecco.

Vinificazione in rosso

Il vino rosso è ottenuto dalla fermentazione alcolica del mosto accompagnata dalla macerazione delle vinacce, ossia dalla dissoluzione dei costituenti delle parti solide del grappolo (bucce, vinaccioli, eventualmente raspi). La macerazione è una fase importante della vinificazione in rosso, responsabile di tutte le caratteristiche visive, olfattive e gustative che differenziano i vini rossi dai bianchi. Apporta composti fenolici quali antociani e tannini, oltre che sostanze aromatiche e azotate, pectine e minerali (derivanti dalle bucce, dai vinaccioli ed eventualmente dai raspi). La conduzione della macerazione richiede, che essa sia un’estrazione graduale dei composti sopra indicati, così da apportare esclusivamente quei costituenti che contribuiscono favorevolmente all’aroma e al sapore.
Generalmente i due fenomeni (fermentazione e macerazione) avvengono contemporaneamente, anche se esistono linee tecnologiche che ne permettono una separazione (ad esempio la termovinificazione e la vinificazione con macerazione a caldo), col fine di controllare al meglio i due processi.

Vinificazione in bianco

La produzione di vino non deriva dalla sola fermentazione alcolica dei mosti o dell’uva pigiata, ma anche dal saper estrarre dalla bacca dell’uva la parte migliore, ossia la quantità ottimale di sostanze determinanti per la qualità del vino, limitando la diffusione di costituenti che potrebbero alterare le caratteristiche del futuro vino. A differenza dei vini rossi, che derivano da una fermentazione alcolica in presenza di parti solide della bacca, i vini bianchi derivano dalla fermentazione del solo succo d’uva. L’estrazione e la chiarificazione dei mosti dei vini bianchi precedono sempre la fermentazione alcolica: il colore del vino non deriva perciò dal colore delle uve, ma dall’assenza di macerazione delle uve ammostate durante la fase alcolica. Ciò non toglie, in ogni caso, che si realizzi una certa macerazione, che ha luogo in assenza di alcol, durante la fase prefermentativa, quando si effettuano le operazioni suddette di estrazione e chiarificazione del succo.

Vinificazione in rosato

Il processo di produzione dei vini rosati è a metà strada tra quello in bianco e quello in rosso e non è, come molti credono, la miscelazione di vini bianchi e vini rossi: questa, infatti, è una pratica vietata per legge in tutti i paesi vinicoli del mondo; unica eccezione sono gli spumanti rosati che, nella maggior parte dei casi (e unico caso nell’enologia) sono prodotti miscelando vini bianchi e vini rossi in quantità variabili in modo da ottenere un vino di partenza rosato. I vini rosati sono prodotti con uve a bacca rossa, mediante tecniche specifiche e con l’intento dichiarato di produrre un vino dal colore rosa.

Parlando in generale, si può dire che la produzione dei vini rosati è un processo a metà fra la produzione del vino bianco e del vino rosso: in particolare, inizia allo stesso modo dei vini rossi e prosegue come per i vini bianchi. Partendo da uve rosse, che subiscono pigiatura soffice, si ottiene il mosto: questo non viene separato dalle bucce, che cominciano la macerazione. Il colore rosato, così come il colore dei vini rossi, è ottenuto dalla macerazione delle bucce nel mosto per un tempo variabile, compreso fra poche ore, fino ad un massimo di due giorni. La durata del tempo di macerazione dipende essenzialmente dalla capacità colorante dell’uva e dal tipo di vino rosato da produrre. Durante questa fase è essenziale evitare l’inizio della fermentazione, pertanto il mosto viene solfitato e la temperatura mantenuta bassa.

Abbinamenti

“I Gusti sono Gusti: diceva uno che succhiava un chiodo arrugginito –proverbio toscano”

 

“Un pasto senza vino è come un giorno senza sole”. Jean Anthelme Brillant-Savarin.

Il sapore di un cibo quasi sempre, scopre la qualità di un vino e le esalta. A loro volta le qualità di un vino completano il piacere di un cibo e lo spiritualizzano”.  Luigi Veronelli

 

“Scopri che cambiar vino non è un pericolo, bensì una necessità se non proprio un dovere”. Gianni Brera

 

“Che vi servo da bere? Bianco o rosso?”

Non è raro sentirsi rivolgere domande come queste non appena seduti a tavola in un ristorante. In tema di abbinamento non ci sono regole assolute; peraltro, la soggettività dei gusti gioca un ruolo di primo piano. Vi sono, tuttavia, alcune regole generali, alcuni criteri che consentono di orientarsi nel vasto mondo dei vini e di scegliere quello più “giusto” per ogni piatto. Il tutto, però, va convalidato dalla pratica, da prove sistematiche: solo l’esperienza personale può dire se un determinato vino si sposa bene con un determinato piatto, pur nella consapevolezza che basta variare alcuni ingredienti o il modo di comporli per scoprire che quel vino non va più bene. La “prova sul campo” costituisce la strategia, l’unica strategia vincente.

Miti da sfatare

A proposito di abbinamento, un mito da “sfatare” è quello che vuole con il pesce vini bianchi, con la carne vini rossi. Questo è vero solo in parte, perché la scelta del vino dipende dal tipo di pesce o di carne nonché dalla preparazione. Ad esempio, un pesce poco grasso, lesso o cotto alla griglia, richiama indubbiamente un vino bianco. Ma se il piatto, ad esempio, è una “orata alla pugliese” in cui fra gli ingredienti figurano pomodori, cipolle, olive, una spolverata di pecorino, il bianco può non reggere e quindi è più opportuno andare su un rosato o su un rosso giovane da bere fresco. Analogo discorso vale per la carne: una carne rossa richiede in genere un vino rosso; le carni bianche come pollo o coniglio si accompagnano bene ad un vino bianco. Di contro, la scuola francese propone un vero e proprio decalogo, con regole utili anche sul piano generale del servizio dei vini.

Le regole dettate dalla scuola francese
1. Nessun grande vino liquoroso bianco deve essere servito con le carni rosse o con la selvaggina.
2. Nessun grande vino rosso può essere servito con pesci, crostacei, molluschi.
3. I vini bianchi devono essere serviti prima dei vini rossi.
4. I vini leggeri devono essere serviti prima di quelli robusti.
5. I vini freschi devono essere serviti prima di quelli a temperatura ambiente.
6. I vini devono essere serviti secondo una gradazione alcolica crescente.
7. Abbinare ad ogni piatto il proprio vino.
8. Servire i vini nella loro migliore stagione.
9. Separare ogni vino con un sorso di acqua.
10. Non servire mai un solo grande vino in un pasto.

Abbinamento per tradizione
Questa tecnica utilizza come criterio generale di riferimento la “territorialità” e quindi le abitudini enogastronomiche consolidate di una zona, che fanno leva su ragioni di tipo storico e culturale.

  • Pizzoccheri della Valtellina/Valtellina Superiore o Inferno (Lombardia)
  • Trenette al pesto/Cinque Terre o Colli di Luni vermentino (Liguria)
  • Bucatini all’amatriciana/Frascati superiore o Velletri rosso (Lazio)
  • Tagliatelle o lasagne alla bolognese/Lambrusco di Sorbara (Emilia Romagna)
  • Crostini con ciauscolo/Vernaccia di Serrapetrona secca (Marche)
  • Orecchiette con le cime di rapa/ Gravina (Puglia)
  • Cassata siciliana/Passito di Pantelleria o Malvasia delle Lipari (Sicilia).

Abbinamento psicologico o poetico
In questo caso ciò che prevale è l’evento, la sua peculiarità, la sua unicità e significatività nel quadro esistenziale o nella storia di una persona, di una coppia, di un gruppo.

Abbinamento per valorizzazione
In alcune situazioni, per la verità molto rare, l’obiettivo prevalente può essere l’esaltazione del piatto o del vino. Ne deriva che ad un piatto particolarmente debole sotto il profilo olfattivo e gustativo si tende ad abbinare un grande vino, che così assume il ruolo di “gigante” con conseguente abbattimento parziale o totale del piatto. L’operazione inversa (piatto strutturato e complesso e vino non importante) ha come effetto l’esaltazione del cibo.

Abbinamento per concordanza e contrapposizione

Per un abbinamento perfetto secondo i principi di concordanza e contrapposizione, ideale è abbinare a cibi grassi e/o tendenti al dolce (come formaggi  e crostacei), vini con ottima acidità e sapidità, o meglio ancora vini con bollicine. In questo caso sarà il contrasto delle sensazioni al palato a ricreare il tanto ricercato equilibrio: l’acidità e la sapidità dell’uno è infatti capace di abbattere la grassezza o la dolcezza dell’altro.

Se i piatti sono caratterizzati da una certa untuosità o succulenza (cotture complesse, abbondanza di olio e salse) abbinamneto ideale saranno vini alcolici e tannici. In questo caso l’alcolicità avrà una funzione sgrassante.

Con piatti particolarmente speziati, con forte aromaticità e con un gusto intenso è bene associarvi un vino con le medesime caratteristiche organolettiche e che dunque abbia una notevole intensità gusto olfattiva. Tutto questo per evitare che il cibo abbia la meglio sul vino.

Ultimo comandamento: abbinate i dolci con i vini dolci e mai con una bottiglia di brut (bestemmia!)