di Davide Spataro
Se esistesse una nazionale italiana dei vini, i “Super Tuscan” sarebbero le stelle indiscusse di questa squadra, quelli per cui vale la pena pagare il biglietto, quelli conosciuti e apprezzati in tutto il mondo, quelli a cui chiederesti un autografo o una foto perché sai che avrà valore nel tempo.
Nomi come Sassicaia , Tignanello , Ornellaia o Solaia sono solo i nomi più blasonati di questa squadra.
Eppure il dibattito su questa tipologia di vini è tuttora aperto, persino sul nome. Non è chiara la paternità del nome ma autorevoli assaggiatori americani come James Suckling o Robert Parker utilizzavano questo termine per raccontare la magnificenza di questi “nuovi” blend toscani che venivano prodotti volutamente non rispettando le tradizionali regole di produzione del Chianti, ma mixando sangiovese alle cosiddette “uve bordolesi” Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc e in minor quantità Syrah e Petit Verdot.
Il pioniere di questo progetto enologico è stato il marchese Incisa Rocchetta, che nel 1944 sperimentò di piantare sul terreno ghiaioso delle tenute di Bolgheri, delle barbatelle di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Al suo fianco arriva poi l’enologo Giacomo Tachis, e insieme danno vita ad un blend di sangiovese e Cabernet il cui nome non ha bisogno di presentazioni: Sassicaia Tenute San Guido .
Sempre Tachis alla fine degli anni ’60 con il Marchese Antinori nel Chianti decide di aggiungere Cabernet Sauvignon al Tignanello; poi negli anni successivi si affermarono con lo stesso procedimento prodotti come Solaia e Ornellaia.
Inizialmente questi “esperimenti” non furono capiti e apprezzati, in effetti si trattava di vini “muscolari”, spigolosi con grandissima struttura acida e tannica, con lunghi affinamenti in barrique francesi; in seguito però tutti si accorsero che questi vini godevano di una straordinaria longevità, che ne migliorava il bouquet e li elevava a competere con gli storici bordeaux d’oltralpe.
La discussione rimane aperta anche da un punto di vista legislativo-disciplinare. Se inizialmente questi vini erano stati etichettati come “vini da tavola” a causa della mancanza di rispetto delle regole tradizionali, dagli anni 90 sono entrati a far parte della denominazione IGT (Indicazione Geografica Tipica).
Non esiste però ancora un riconoscimento legislativo che ne tutela e rispetta ancor di più la sua storia e qualità (solo Sassicaia ha acquisito la DOC). Come spesso accade, quello che guida è il gusto dei consumatori, soprattutto quelli statunitensi che ancora oggi, non solo sono diventati i più grandi importatori di questi prodotto, ma hanno sviluppato un‘ interesse turistico per queste terre e per queste cantine, indispensabile per l’economia di tutta la Regione.
Se da un lato può sorprendere che la regione culla della lingua italiana e orgoglio per tradizione eno-gastronomica possa accettare una commistione di utilizzo di uve internazionali a discapito del caro e vecchio sangiovese, dall’atro non si può negare che l’unicità del terroir toscano e gli straordinari risultati raggiunti dalle uve bordolesi innestate su queste colline, sia un valore aggiunto di cui non vogliamo e non possiamo fare a meno.
Inoltre il fascino e la concretezza commerciale dei “Super Tuscan” ha dato forte impulso a tutta l’enologia italiana che negli anni è riuscita, su questi esempi, ad elevare la qualità e diversificare i gusti dei propri prodotti per competere sui mercati internazionali senza comunque rinunciare alle proprie radici storiche.