di Guido Montaldo
In Molise la storia della vitivinicoltura può essere distinta in due fasi: fino alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso, era quasi completamente concentrata nelle zone collinari più interne delle province di Campobasso e Isernia ad altitudini variabili dai 250 ai 600 m. In seguito, con la bonifica delle aree litoranee e con l’avvento della riforma fondiaria, la coltivazione della vite si spostò molto velocemente nelle zone pianeggianti dove, utilizzando forme d’allevamento espanse (tendone) e vitigni generosi, raggiungeva livelli quantitativi di produzione impensabili altrove. I vitigni un tempo considerati validi, vennero rapidamente abbandonati per far posto ad altri; a farne le spese fu soprattutto la Tintilia che per secoli fu considerata dai molisani la migliore vite da vino.
Vitigni
Rossi: le scelte varietali del Molise per il rinnovo dei vigneti, ricalcano quelle dell’Abruzzo, con spiccata preferenza per il Montepulciano e l’Aglianico. La “Tintilia” è un vitigno tradizionale e non autoctono molisano, perché fu introdotto nella seconda metà del settecento, in piena dominazione borbonica, in virtù dei commerci tra il regno di Napoli e la Spagna.
Il suo nome deriva presumibilmente dall’etimo Tinto, che in lingua iberica significa “rosso”, ed è infatti caratterizzata da un colore rosso scuro. Il vino che ne deriva presenta colore rosso rubino intenso, al naso rivela sentori di frutti di bosco e radice di liquirizia su un fondo di vaniglia, in bocca è caldo con tannini in evidenza. L’acidità è sostenuta, poiché il vitigno è coltivato a quote abbastanza elevate (da 250 m sul livello del mare in su).
Bianchi: Moscato Giallo, Trebbiano, Falanghina, Fiano, Bombino bianco e Malvasia lunga.
Doc: Biferno; Molise o Del Molise; Pentro d’Isernia o Pentro e Tintilia del Molise